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Si sa che Leopardi, a cominciare dall’infanzia e dalle opere giovanili, è stato uno spirito sempre aperto alle più diverse conoscenze del sapere. Il poeta ha conosciuto scienziati amanti delle lettere e famosi clinici, naturalisti e anatomisti come Buffon, studiosi dell’arte di prolungare la vita come il medico tedesco Hufeland e tanti altri. Negli studi scientifici e nell’astronomia, oltre a Newton, Cartesio e Copernico, più di tutto lo hanno appassionato le scoperte di Galileo.
Molto è stato scritto sulla prosa leopardiana riguardo alla filosofia e alla scienza. Ma c’è un universo ancora tutto da esplorare sul rapporto stretto della poetica leopardiana con l’astronomia e più in generale con la scienza. Un’incursione nella poesia scientifica per certi aspetti ancora inedita del poeta del dolore è la scoperta di Leopardi vulcanologo che rivela un interesse e una singolare padronanza per la vulcanologia e la prevenzione. La Ginestra o il fiore del deserto, a parte le metafore leopardiane, fa riflettere per lo spirito di osservazione scientifica del poeta che descrive in modo dettagliato l’eruzione del Vesuvio. E prima ancora dell’eruzione merita di essere sottolineata la capacità di Leopardi di analizza i segnali di allarme, i segni precursori dell’eruzione del mostro grigio. Colpisce l’attenzione, descritta ne La Ginestra, del «villanello intento ai vigneti» che sale sul tetto di casa per seguire il corso della lava e poter trarre in salvo la famiglia ai primi segnali di pericolo.
Rivela una padronanza di studi vulcanici la capacità di Leopardi nel descrivere l’insolito «gorgogliare» dell’acqua ribollente nel pozzo artesiano del fondo. Il «villanello» che scruta dal tetto della casa quelli che i vulcanologi chiamano fenomeni preliminari dell’eruzione non può lasciare indifferenti. Leopardi ebbe sicuramente occasione di seguire l’eruzione del Vesuvio del 23 agosto del 1834. Dall’anno prima il poeta era a Napoli con Antonio Ranieri con frequenti visite a Torre del Greco sulle pendici del vulcano dove poi si trasferì nel 1836 nell’ormai famosa Villa delle Ginestre e visse fino alla morte. Il Giornale del Regno delle Due Sicilie dette ampia notizia dell’eruzione che fu alquanto distruttiva. Il «vulcanologo» Leopardi descrive la temperatura in aumento dell’acqua del pozzo che si solleva poco prima che il magma risalga in superficie. Il livello dell’acqua di un pozzo artesiano si modificava in presenza di un’eruzione del Vesuvio con sviluppo delle mofete che sollevavano il liquido in ebollizione. Il pozzo serviva perciò da spia dell’imminente catastrofe. Dai tempi più remoti i contadini vesuviani calavano nel pozzo il secchio tenendolo a pelo d’acqua. Se la carrucola arrugginita cigolava scattava l’allarme. La Ginestra leopardiana è anche un messaggio agli uomini di stringersi in «social catena» contro «l’empia natura».