• da arteecarte 2002: “libri senza tempo” di Mario Pagano
a proposito di alcune premonizioni…
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Con questo “Un mistero occitano per il Commissario Abruzzese” (Claudiana Ed.), Massimo Siviero, giornalista e scrittore, è, come giallista, al suo terzo lavoro: con Camunia, infatti, ha pubblicato “Il diavolo giallo” e con Lo Stagno Incantato “Il terno di San Gennaro” (Premio Napoli in giallo e premio speciale Procida, Isola di Arturo, Elsa Morante), primo e secondo della stessa trilogia.
L’occitano è, come si sa, la lingua dei Valdesi, e valdese è la casa editrice di questo giallo (sui Valdesi della Calabria c’è una nota dell’editore alla fine del volume) ma, soprattutto, il primo delitto avviene a Guardia Piemontese, enclave valdese in provincia di Cosenza.
Mentre il commissario Abruzzese è in soggiorno di cura presso le Terme Luigiane, Guardia Piemontese conosce il brivido di un assassinio: quello di un sacerdote. Misteri e morte si scioglieranno poi su tutt’altro sfondo: Napoli, dove sarà necessario organizzare la vigilanza di ben 182 parrocchie e 26 chiese non parrocchiali, per evitare una strage di preti (ma per motivi diversi saliranno poi alla ribalta, oltre alle chiese, anche la Biblioteca Nazionale, per la sparizione di un libro antico, e quello che Siviero chiama il triangolo delle Bermuda mediatiche, cioè l’intersecarsi delle strade ospitanti le redazioni de “Il Mattino”, “Roma” e “La Repubblica”). A questo punto, ad avviso del recensore, il discorso sui fatti di un giallo non può che troncarsi: non c’è in letteratura altro tipo di racconto del quale sia altrettanto necessario omettere tutto ciò che attiene alla trama, giacché, al di là di pur legittimi ma solo eventuali intenti di un messaggio, il poliziesco si raccomanda essenzialmente per l’inaspettato, l’imprevedibile che sta sempre dopo il prossimo rigo.
L’occitano fa capolino già nelle prime pagine, quando Abruzzese trova in una tasca della sottana della prima vittima un foglietto su cui si leggono sei versi che cominciano: "Paise in chiele e paise in terre…" (Pace in cielo e pace in terra). L'occitano parlavano i nuclei di Valdesi rifugiatisi, per scampare alle Persecuzioni subite in Piemonte ed in Provenza (XIV e XV secolo), in Calabria e lì stabilitisi: a Montalto, San Vincenzo, Castagna, La Guardia (Guardia Piemontese). L'autore è palesemente affascinato, oltre che da quell'idioma, dal fattore "nomi" : Abruzzese è proprio di origine avezzanese, e fra i trenta personaggi figurano un Polifemo, un Caronte, un Orfeo, un Bellissimo, un Carlo Magno.
Quando gli è stato chiesto perché mai un napoletano abbia sentito il bisogno di rinnovare il ricordo della violenza subita dai Valdesi, Massimo Siviero ha risposto di essersene sentito coinvolto sia emotivamente perché aveva conosciuto, e molto bene, la comunità valdese di Guardia Piemontese, sia storicamente in quanto Napoli "è stata protagonista di quelle crociate durante il viceregno spagnolo che incoraggiò l'Inquisizione".
Con Siviero si ha, dunque un capovolgimento della funzione del giallo: secondo una originale inversione di formule che egli stesso ha messo a punto in un’intervista purtroppo passata sotto silenzio, esso è oggi "romanzo di invasione delle coscienze". Coscienze che è giusto invadere, a parere di questo autore dichiaratamente cattolico e dichiaratamente antifondamentalista, per svegliarle dal sonno dell'assuefazione e liberarle da paura ed egoismo. Perché solo a questo patto, egli sembra dirci, quel piacere di moltiplicare la vita in cui si è sempre sintetizzato il gusto di scrivere romanzi (anche, o in particolare polizieschi) diventa, oltre che emozionante, eticamente auspicabile.
Prima di congedarci da questo libro, è necessario che noi assolviamo ad un obbligo nei riguardi di Siviero: quello di riconoscergli il dono del presentimento. Nel romanzo, infatti, scritto più di un anno prima dell'attentato alle Twin Towers (11 settembre del 2001), si trovano segnali di preveggenza: sull'Islam, sull'integralismo religioso (e conseguente intolleranza), sul terrorismo. Vi si parla, anzi, di un uomo ricercato perché accusato, appunto, di terrorismo e di adesione al GIA (Gruppo Islamico Armato): il suo vero nome non è (come nel testo) Ben Boghari naturalmente, ma la sua esistenza è reale, non di pura fantasia. Egli "si preparava a compiere attentati negli States e in Italia". Bloccato all'aeroporto di Capodichino, era riuscito a fuggire e "inspiegabilmente gli americani non avevano emesso mandato di cattura internazionale".
Ma c'è molto di più. Nel precedente, citato, "Il terno di San Gennaro", Siviero, a proposito della possibilità di utilizzare le api, piegandone la straordinaria duttilità a strategie lecite e meno lecite, così fa esprimere un personaggio: "Sono insetti estremamente suscettibili e hanno l'odorato più sensibile di un cane". Ebbene a tre anni dalla pubblicazione di quel romanzo,
Alan Rudolph, direttore del programma di ricerca del Pentagono, ha dichiarato: "Gli ultimi esperimenti hanno dimostrato che le api sono sensibili agli odori, almeno quanto i cani".
Esse sono state addestrate a individuare odori diversi da quelli dei fiori e si è constatato che, appena una sola di esse registra lo stimolo, anche il resto dell'alveare si muove. Nel giallo di Siviero l'assassino adopera queste doti delle api (...).
Se sia da attribuire soltanto al caso questo intreccio tra realtà e fantasia, in cui la penna di uno scrittore napoletano anticipa un intervento del Pentagono (le api sarebbero state poste sulle tracce di kamikaze per fiutarne l'esplosivo e farli catturare) o se, viceversa, esista davvero qualcuno (un'Agenzia) che, come ne "I sei giorni del Condor", analizzi e "salvi" ogni rigo che si pubblica in tutto il mondo: ecco un interrogativo per 007, politici, giallisti.
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